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al lupo, al lupo!

Pare che gli umani sentano, più o meno costantemente, l’irrefrenabile bisogno di sentirsi minacciati da catastrofi terrificanti quanto ineludibili. Dalla fine del mondo prevista per l’anno Mille sino al famoso baco informatico all’alba del Duemila, è tutto un fiorire di disgrazie, sfighe epocali e devastazioni che al confronto le Sette Piaghe d’Egitto sono come la vescica che azzoppò la zia Peppina nel corso della tragica scampagnata di Pasquetta del ’66. (Per la cronaca, la zia Peppina ce lo ricorda ogni volta che passiamo a trovarla).


Il dramma di vaste proporzioni prossimo venturo è la presa di possesso delle nostre vite che l’Intelligenza Artificiale – moderna sanculotta – starebbe pianificando con feroce quanto silenziosa astuzia silicea. Sarà vero, sarà falso? Come distinguere il vero dal verosimile e il falso d’autore dalla cattiva imitazione? Nel dubbio e nel frattempo, in attesa che le macchine conquistino il Palazzo d’Inverno e pure quello d’estate, è forse d’uopo chiedersi quando siamo diventati umani.


Quando abbiamo acceso il primo fuoco, inventata la prima ruota, prodotto il primo arco e le prime frecce? Sbagliato. Interrogata in proposito, la grande antropologa Margaret Mead rispose che il primo segno di umanità si manifestò in un atto culturale. Vasi di argilla, pietre levigate, amigdale taglienti? Neppure per idea. Secondo la grande studiosa il primo segno di umanità ci viene dal ritrovamento di un osso. Un femore umano con evidenti segni di una frattura curata. In natura, se sei una gazzella, un leone, un elefante o un ominide e ti rompi una gamba, sei fritto come un’anguilla. Non puoi fuggire dai predatori. Non puoi recarsi al fiume per bere. Non puoi procacciarti il cibo. Sei “carne per le bestie”. Punto. Nessun animale sopravvive abbastanza a lungo affinché una gamba rotta possa guarire. Un femore rotto guarito è la prova: qualcuno ha sorvegliato il ferito, lo ha difeso, curato e nutrito. Lo ha “messo in sicurezza” come si dice ora, e ha atteso pazientemente che guarisse. E’ allora, assicura Margareth Mead, che è iniziata quella cosa che chiamiamo civiltà.


La civiltà è una cosa recente e terribilmente fragile. Chissà se ai tempi dei primi femori aggiustati anche ai nostri antenati piaceva spaventarsi a vicenda. E chissà che diavolo s’inventavano per darsi quel po’ di allegra eccitazione che produce lo scampato pericolo. Doveva essere una vita davvero noiosissima la loro, senza ChatGPT e nemmeno un social su cui spararsi un selfie.

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