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  • apple e la "cancel culture" degli ipocriti

    Facciamocene una ragione. Se anche un’azienda come Apple, mica Gino&Pino pizza a domicilio, è stata costretta a ritirare il suo spot e a scusarsi, significa che l’ideologia woke, il nuovo modo oscuro di chiamare quella che un tempo avremmo definito come permalosità nevrotica, ha vinto e bisogna adeguarsi in fretta. L’ antefatto. Per lanciare il suo nuovo stupefacente IPad Pro,l’azienda di Cupertino aveva ideato un commercial all’altezza dei suoi standard creativi. Lo potete vedere qui. Nello spot una pressa comprime sino a schiacciarli tutti i simboli del nostro recente passato, i meravigliosi trastulli visivi e sonori con cui ascoltiamo musica, guardiamo i video, scambiamo informazioni e notizie, giochiamo e persino lavoriamo. Tutti inesorabilmente squeesati per usare un altro neologismo born to U.S.A. dal ferocissimo Crush! che decreta la loro fine. Apriti cielo. Dal Manzanarre al Reno, giusto per citare Manzoni che commemora Napoleone, s’è levato il grido di dolore dei puccettoni convinti che il nuovo iPad volesse annullare il passato, cancellare il mondo dei loro ricordi, negare la loro infanzia.Vergogna, come si permettono?!?! Facciamocene una ragione. E vediamo di farlo in fretta. Se anche un’azienda come Apple – quella che non sbaglia mai un prodotto e neppure la comunicazione di un prodotto - ha cannato campagna pubblicitaria, vuol dire che il mondo è cambiato al punto da non riconoscerlo più. La cancel culture, quella cosa per cui bisogna smetterla con l’Iliade perché è un cinema di soli maschi bianchi e bellicosi, correggere Shakespeare perché razzista, misogino, colonialista e sessista, rimuovere dalla programmazione “Via col vento” o impedire convegni e seminari su Dostoevskij a causa dell’aggressione russa all’Ucraina, impone il nuovo paradigma dell’ignoranza cognitiva. Quella cosa che mi impedisce di ragionare sui contesti, sulle epoche e sul tempo. E mi fa reagire in modo stupido e censorio come un bambino capriccioso e viziato. Il guaio è, come sempre, il pozzo di conformismo in cui rischiano di cadere anche le imprese più potentemente creative, come Apple appunto. Un mondo grigio e banale, nel quale le ingiustizie non solo continueranno ad esistere, ma per di più saranno ipocritamente negate e mascherate.

  • la milanese nasce più giovane

    Non parliamo mai di politica. Non che ci spiaccia o non ci riguardi. E’ che la politica ha il guaio di essere sempre o troppo alta o talmente bassa che persino il Pierino di Alvaro Vitali ne sarebbe imbarazzato. Eppure il caso della politica che trova sconveniente (inadeguato, inadatto, inaudito, inidoneo… decidete voi) il nome affibbiato ad un modello d’auto, non s’era mai sentito. E’ quello che è accaduto alla povera “Milano” Alfa Romeo, rea secondo i politici di essere prodotta in Polonia e non in qualsivoglia stabilimento del Belpaese. Così, non sapendo né leggere né scrivere, i vertici Stellantis hanno pilatescamente deciso che la nuova Alfa si sarebbe chiamata “Junior”. Come immaginiamo sappia bene il ministro che ha sollevato la questione, iùnior “è il comparativo del latino iuvĕnis«giovane», e significa quindi «più giovane». La nuova Alfa, incredibile ma vero, nasce quindi già più giovane. Non sappiamo bene di chi né di cosa, ma non importa. Ciò che conta è che faccia brum-brum come le auto vere e sappia dare un sacco di soddisfazioni a chi avrà la ventura di acquistarla. (Nel frattempo Milano alle prese con il traffico del Salone come sempre fa spallucce e tira innanz)

  • fare agenzia

    Il tema di questo micro-post è “fare agenzia”. Perché scegliere un’agenzia di comunicazione invece che un gruppo di singoli specialisti? I motivi sono tre. Primo: se pensate di risparmiare soldi scegliendo un consulente alla volta finirete con lo spendere molto di più: quanto vale il vostro tempo? Secondo: le squadre che vincono sono quelle che si sono allenate duramente per imparare a giocare insieme. Terzo e ultimo: la tecnologia digitale punisce severamente i dilettanti, “fare agenzia” riduce gli errori e massimizza gli investimenti. La comunicazione è un lavoro di squadra.

  • netflix accusata di lesa maestà

    Stavamo come al solito sdraiati sul divano a cazzeggiare (“i creativi devono essere felici”, ricordate?) quando la notizia della polemica scoppiata in Grecia ci ha colpito come un coppino alla base del collo. Intendiamoci, chi ci conosce sa che stiamo lontani dalla politica come Don Abbondio dai bravi di Griso. Ma la notizia è ghiotta. Dimitris Natsiou, presidente di Niki, ha accusato la serie Netflix Alexander, the making of a god di essere “deplorevole, inaccettabile, antistorica”. Netflix, questa l’accusa, fa passare l’idea che nel mondo antico l’omosessualità fosse perfettamente accettabile. Ora che Alessandro il Grande preferisse il Walter alla Jolanda è una cosa che sanno anche i liceali di Seregno; e quelli un tantinello più eruditi non si scompongono neppure all’idea che questi fossero anche i gusti di Adriano, l’imperatore filosofo. E per chiudere la partita, che anche il grande Giulio Cesare, il geniale conquistatore della Gallia, gustasse doviziosamente entrambi i “lati” a e b. Naturalmente non è questo il punto: il problema non è tanto la sessualità in epoca greco-romana; il guaio è la confusione che molti fanno tra i loro convincimenti personali e il desiderio di censurare le opinioni altrui. Un atteggiamento che avvilisce non solo il pigro creativo sdraiato sul divano, ma – cosa infinitamente peggiore – tutti noi, compresa la zia Peppina. Nonostante l’età, considera l’amore per quello che è e che è sempre stato: l’emozione più potente al mondo.

  • i creativi devono essere felici

    Superman, Batman e gli Eroi della Marvel. Ma anche Odisseo, Circe e Polifemo. E già che ci siamo, anche Jack e Rose del “Titanic”, Biancaneve e “Trinità”, il pistolero interpretato da Terence Hill. Hanno tutti una cosa in comune: rispettano la legge della sospensione dell’incredulità. Che è, come sa chiunque abbia letto anche un solo Albo Topolino, la Legge Fondamentale della Narrazione. Se non c’è sospensione dell’incredulità, la macchina narrativa non funziona. Addirittura, proprio come un’auto vera a motore termico, non s’accende proprio. Una (speriamo non troppo lunga) premessa che dire che se il primo ci aveva fatto pensare e il secondo sorridere, il terzo spot della serie “non c'è una spesa che non sia importante” Esselunga non funziona. Spiace dirlo, ma contrariamente a quel che succede al magnifico Sinner, in questo caso la carota è totalmente priva di senso: l’incredulità regna sovrana. Forse perché i colleghi che hanno firmato la campagna non sono sufficientemente felici? Come dicono a Napoli, città di infinita saggezza, “se l’acqua è poca la papera non galleggia”.

  • quelli che dicono di non vederlo...

    Quelli che dicono di non vederlo. Ma il giorno dopo ne parlano su faccia-libro. Quelli che lo vedono. Ma quello dell’anno prima era – ogni volta - di gran lunga migliore. Quelli che dura troppo a lungo, ma prima di andare a letto aspettano Fiorello. Quelli che le canzoni sono troppe. Che i vestiti sono brutti. Che i cantanti sono ancora peggio dei vestiti. E quelli che “cara lei, quando c’era lui” nel senso di Baudo. Insomma da martedì 6 febbraio a sabato 10 e ben oltre non si parlerà d’altro che del Festival per Antonomasia, quello dei fiori e della Canzone Italiana con la C e la I maiuscole. Che non si tratti di un concorso canoro ma della più letale macchina pubblicitaria, ormai l’hanno compreso tutti: ovvero l’evento che riempirà per settimane e forse per mesi le pagine della sempre più esausta stampa italiana. Solo la zia Peppina, quella che ancora fa i tortelli a mano e sospira per Nilla Pizzi, ci crede ancora. E noi che le vogliamo un bene dell’anima, non abbiamo cuore di rovinarle la festa. Dunque, viva Sanremo e viva la Pubblicità. Insieme all’ottimismo sono il “profumo della vita”. Con l’avvertenza di non scordare la preghiera del grande Séguéla: “non dite a mia madre che faccio il pubblicitario. Le mi crede pianista in un bordello”.

  • uno strano rapporto con la tecnologia

    Abbiamo uno strano rapporto con la tecnologia. La amiamo e la detestiamo. Ma questo sarebbe ancora poco. Il guaio grosso è la costruzione ideologica che viene prodotta per giustificare (esaltare, edulcorare, magnificare) l’impiego che della tecnologia viene fatto. In modo acritico. Seguendo le mode. Prendiamo il fenomeno Tesla, una vicenda tecnologica senza precedenti. “E’ il progresso!” esclama Tizio. “E’ il futuro!” rilancia Caio. “E’ così che si fa impresa!” conclude tombale Sempronio. Poi accade che a causa del clima gelido di Chicago i supercharger che alimentano le Tesla facciano cilecca. Succede. Ma succede anche che l’Azienda (magnifica, superba, futurista) non si sia spettinata per offrire una qualche spiegazione ufficiale. Diciamo che succede anche nelle migliori famiglie. Anche in quelle poco tecnologiche per intenderci. Peraltro, detto fra noi, non occorre attraversare l’Atlantico per imbattersi nello sgradevole uso ideologico della tecnologia. Basta seguire le ormai mitiche gesta di Fleximan il giustiziere del Nord-Est, l’uomo che taglia un autovelox per educarne cento. Nel segreto della notte compie misfatti che tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo (colpevolmente) sognato di compiere. Chi è dunque Fleximan? Un bandito che attenta alla sicurezza - gli autovelox concorrono a salvare vite umane - o piuttosto un cittadino stufo marcio dell’uso che alcuni Comuni (pochi, molti, tutti?) fanno degli autovelox per rimpinguare le casse comunali? Noi amiamo la tecnologia. Amandola come l’amiamo, siamo dell’idea che la tecnologia non sia né buona né cattiva. Diciamo che è come il martello: dipende dall’uso.

  • king kong è tornato a new york

    Oltre a quella in corso a Gaza, un’altra battaglia ha avuto inizio nello sciagurato 2023 che (per fortuna) si è da poco concluso. Apparentemente è uno scontro di Borsa fra colossi made in U.S.A. In realtà la causa indetta dal New York Times a Microsoft e Open AI con l’accusa di usare articoli e servizi giornalistici senza pagare adeguati compensi riguarda il futuro dell’informazione e quindi di tutti noi. (immagine generata con AI da Marco Cappalunga, Studio Dag Agency) Come ormai sanno anche i bambini di Valbondione, i programmi di AI succhiano come idrovore i contenuti di intere biblioteche e in pochi minuti redigono “contenuti ad hoc”, come si usa dire pudicamente oggi per indicare un furto (più o meno) legalizzato. Ed è appunto su quel “più e quel meno” che si pronunceranno i tribunali americani. Una battaglia che al più tardi domani riguarderà anche l’Europa e l’Italia. Trovare un giusto equilibrio fra progresso tecnologico dell’AI e tutela dell’informazione dalla cialtroneria di programmi acchiappa click riguarda il futuro delle società aperte e democratiche. (immagine generata con AI da Marco Cappalunga, Studio Dag Agency)

  • caro babbo natale...

    Caro Babbo Natale, anche quest’anno non sono stato granchè buono. Anzi, a dire la verità non lo sono stato affatto. Nonostante le promesse non ho pianificato in modo accorto e consapevole e ho trascurato la comunicazione. Insomma, non mi sono comportato bene nei confronti del mio brand nonostante le soddisfazioni che pure continua darmi. Caro Babbo Natale, l’anno prossimo mi comporterò davvero meglio: curerò i social dando loro l’importanza che meritano, girerò una serie di video che raccontano il nostro modo innovativo di progettare e produrre. Non solo: ti prometto anche che ricostruirò lo show-room aziendale (hai ragione: è terribilmente invecchiato) e organizzerò un evento dedicato ai clienti provenienti da ogni parte del mondo che non vedono l’ora di visitare la nostra azienda. Sarò un manager migliore caro Babbo. Mi circonderò di collaboratori leali e capaci, quelli che inseguono il talento e non il consenso, e hanno il coraggio di dirmi con schiettezza cosa davvero pensano delle mie idee. Te lo prometto: sarò un manager, un leader e persino una persona migliore. (Tu nel frattempo non scordarti dei doni che mi hai promesso e che, nonostante tutto, ogni anno continui con generosità a farmi trovare sotto l’albero). Tuo ADS (Amministratore Delegato Supremo)

  • la scrittura come strategia di vendita

    “La scrittura, modello d’ogni processo di realtà”. (Italo Calvino, “Lezioni americane”) Questo post è dedicato a un tipo particolare di scrittura. Quella che non vincerà mai un Nobel e neppure un ben più modesto “Strega”. Niente a che fare con la poesia, il romanzo o il racconto poliziesco. La scrittura di cui parliamo si chiama copywriting. Si distingue dalle altre perché ha un solo scopo: vendere. Che sia un bullone o una caramella, un deodorante per ambienti o un progetto di geomarketing, funzione della scrittura pubblicitaria è rendere attraente (seducente, utile, indispensabile) un prodotto al punto da convincerci ad acquistarlo. Per riuscirci ,“prima che a scrivere, imparate a pensare” ammoniva un gentiluomo francese che visse (e scrisse) verso la fine del Seicento. La scrittura pubblicitaria è questo: pensiero commerciale che si cristallizza in parole funzionali al pubblico dei destinatari. Punto. Un esercizio di umiltà e di pazienza che - come nelle relazioni amorose - presuppone l’impegno di entrambi i contraenti. Il buon copywriting - quello che “attrae e vende”- nasce sempre dall’alleanza con il Cliente. Diciamo che scrivere per la pubblicità è un lavoro a quattro mani. Se desiderate saperne di più sulla scrittura "pubblicitaria", Studio DAG Agency è pronta ad ascoltarvi e a trasformare le vostre parole in marketing di successo.

  • pel di carota

    Un talento naturale sostenuto da una claque d’eccezione: i Carota Boys. Cinque super appassionati piemontesi vestiti da carota che lo seguono ovunque, soprattutto nei tornei più importanti. Di chi stiamo parlando? Ma di Jannik Sinner, il giovane tennista di San Candido che - come Alberto Tomba e Valentino Rossi - sta facendo impazzire gli italiani. Ora qualcuno, magari più di uno, potrebbe più che legittimamente alzare le spalle e commentare con un italianissimo a me che mi frega? Il fatto è che Sinner non è solo un tennista: è una metafora. Sentite un po’ cosa ha risposto a chi, dopo aver sconfitto il n°1 del tennis mondiale, gli chiedeva cosa stesse provando: “Certo che ci penso, da dove vengo, da dove arrivo, a non dare mai niente di scontato. Vale anche nella vita, non si sa mai cosa può succedere. A me non pesa svegliarmi il mattino. E allenarmi, io mi sveglio con l'obiettivo di migliorarmi. E quando mi alleno sto bene mentalmente, e quando ho finito di allenarmi mi sento soddisfatto e più ho fatto fatica meglio è”. “Più ho fatto fatica meglio è”, ha detto. Sinner non è solo un tennista. E’ un carattere per gli italiani.

  • come la cassœula

    Ci siamo innamorati al primo sguardo e la passione è cresciuta giorno dopo giorno. Invenzione dopo invenzione. Prodotto dopo prodotto. Al punto che se non temessimo di apparire sacrilegi, lanceremmo una petizione affinché Steve Jobs sia fatto santo. Eppure quest’uomo geniale al punto che anche Leonardo da Vinci si sarebbe perdutamente innamorato di lui, ha commesso un errore. Non ha tenuto conto dei milioni (dei miliardi) di orribili video che milioni di improvvisati video-maker armati di Iphone avrebbero postato con inarrestabile assiduità. Eppure Steve lo sapeva: girare un video è un mestiere da professionista. Come preparare la cassœula. Ma Steve sapeva anche che niente e nessuno può fermare il dilettante. Il risultato? Un ecosistema inquinato da montagne di spazzatura visiva. Scrivere, girare, montare e infine postare un video, è esattamente come preparare la cassœula. Se gli ingredienti non sono di prima qualità e la cottura a regola, il risultato farà sorridere anche la pur bendisposta zia Peppina. Le aziende lo sanno: la buona comunicazione è come il cibo. Quando è modesta la si scarta subito.

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