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  • proverbi, ignoranza o saggezza dei popoli?

    Vecchia e forse irresolubile questione che ci è tornata in mente pensando all’adagio “un’immagine vale mille parole”. La risposta che ci diamo ogni volta si tratta di scegliere la regia fotografica per un cliente è: “dipende”. Il web (anzi: il mondo) pullula di immagini banali, insignificanti o – peggio – semplicemente stupide: quelle che fanno cambiare pagina. Il potenziale lettore passa oltre, non si ferma, non guarda, non legge. Succede con le pagine web, ma anche con le brochure cartacee e con i manifesti stradali. Un’immagine stupida è un crimine: il cliente ha speso dei soldi e il suo brand (il suo nome, il suo prodotto) ne esce avvilito come un cane sotto la pioggia. La regia fotografica è un’arte? Sì, ma è anche una scienza. Studio DAG Agency realizza "immagini" in funzione della strategia di comunicazione: un percorso creativo a misura di azienda, brand o prodotto. In conclusione, sì: un’immagine vale mille parole. Attenti che non siano insulti, però. Se desiderate saperne di più sulla fotografia commerciale, Studio DAG Agency è pronta ad ascoltarvi e a trasformare le vostre idee in immagini di successo.

  • una pèsca non è affatto una pésca

    Benvenuti nel paese più bello del mondo. Il solo che può vantare il più grande patrimonio artistico, il più vasto consesso di Commissari Tecnici della Nazionale di Calcio, il più grande numero di manager di Formula Uno. Grazie alla campagna pèsca di Esselunga, a questa straordinaria cerchia di fini conoscitori si è aggiunta una nuova categoria: quelli che Spielberg, Tarantino e pure Steve Jobs “gli spicciano casa”, come si dice dalle parti di Roma. Esperti (espertissimi!) di cinema, sceneggiatura, marketing e pubblicità. Impegnati come un sol uomo a sdottorare commenti non solo non richiesti ma anche, come sempre, del tutto inutili. Se è lecito dichiarare che una pubblicità piace piuttosto del contrario, “entrare nel merito” come si suol dire senza conoscere lo status della marca e i suoi obiettivi di comunicazione è come parlare di calcio, donne e motori al Bar Sport di Golasecca di Sopra. Beninteso, con tutto il rispetto per i validi golasecchesi. Diciamolo ancora una volta: nonostante quello che molti continuano a pensare, il marketing non è una pésca (con l’accento acuto) di beneficienza, il noto passatempo benefico dove la sola cosa che conta è il lato B.

  • le parole sono importanti

    Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti... (eccetera, eccetera). Riconosciuto? E’ l’incipit più famoso della letteratura italiana. L’ha scritto un certo Alessandro Manzoni. Le parole sono importanti. Perché, oltre a tutto il resto, fanno vendere. Pensate, i “Promessi Sposi” va ancora via come il pane dopo 150 anni. A onor del vero, noi di Studio DAG Agency non abbiamo a disposizione un Alessandro Manzoni. Però ci lavora gente bravetta ad aiutare un brand - un’azienda, un prodotto - a crescere. Ad essere notato di più e (quindi) comprato di più. Se avete letto sin qui, significa che anche per voi le parole sono importanti. Al punto di fare la differenza tra una comunicazione che funziona e che aiuta a crescere. Se desiderate saperne di più sulla comunicazione commerciale, Studio DAG Agency è pronta ad ascoltarvi e a trasformare le vostre idee in parole di successo.

  • e' il marketing, bellezza

    Ci sono momenti magici nello sport. Accade quando, per una fortunata congiunzione astrale, gli eventi si allineano sino a formare una collana perfetta. E’ accaduto nei giorni scorsi agli US Open di tennis. Sul cemento di Flushing Meadow, la diciannovenne Coco Gauff ha vinto il suo primo Grande Slam. Caso ha voluto che oltre ai suoi genitori, cosa in sé non così infrequente, fosse presente anche la grande Billie Jean King, la tennista statunitense storica paladina dei diritti delle donne nel tennis. L’abbraccio fra la giovane Coco e l’anziana Billie è stato immediatamente dilatato dai social e ripreso da tutti i media americani. Dov’è la magia, vi chiederete. Domandatelo ai manager di New Balance. Che già nel lontano 2018 hanno puntato le loro fiches sull’allora giovanissima Coco Gauff. Rivestendola (letteralmente) da capo a piedi con le linee d’abbigliamento del brand hanno estratto il biglietto vincente alla lotteria di marketing.

  • stato dell'informazione nel mondo

    Data Media Hub ha pubblicato i risultati del “Reuters Institute for the Study of Journalism” riguardanti il Digital News Report 2023, il documento più esaustivo sullo stato dell’informazione nel mondo. I risultati li trovate qui. L’indagine riguarda l’universo di chi fruisce notizie online almeno una volta al mese. Sono quindi esclusi dallo studio tutti coloro che non utilizzano la rete: percentuale affatto trascurabile nel nostro paese. Principali evidenze • L’accesso diretto ai siti web delle fonti d’informazione è in calo costante, mentre cresce invece la fruizione di news attraverso i social. • Facebook resta la piattaforma social principale per le notizie, ma la sua rilevanza è in calo. Per contro cresce sensibilmente l’importanza di TikTok. • Al di là delle differenze tra le diverse piattaforme social, le news creano sempre minor engagement. • Una quota non trascurabile delle persone evita le news. Fenomeno che era già emerso dal report del 2022. È un chiaro segnale di quale sia la distanza tra chi produce informazione e chi invece ne dovrebbe fruire. • Costante, o addirittura in calo, la propensione a pagare per l’informazione online. Altrettanto avviene per quanto riguarda la fiducia nelle fonti d’informazione. • La lettura del testo resta la forma preferita per consumare le notizie In Italia Per quanto riguarda il nostro paese le principali evidenze sono le seguenti: 1. Nonostante dal 2017 si siano implementate soluzioni paywall la percentuale degli intervistati del sondaggio che paga oggi per le notizie online si attesta al 12%. La stessa di cinque anni fa. 2. La portata online dei principali newsbrand italiani è relativamente invariata. 3. L’utilizzo dei social media per le notizie è diminuito negli ultimi anni, ma è ancora più del doppio rispetto alla carta stampata e, insieme all’online, è leggermente più utilizzato della televisione. 4. La fiducia complessiva nelle notizie rimane molto bassa [34%], attestandosi tra i livelli di fiducia più bassi in Europa. Ma ci sono livelli relativamente alti di fiducia in alcune testate, in particolare quelli noti per i livelli inferiori di partigianeria politica. Tra questi si conferma al top Ansa con il 78% degli individui che afferma di fidarsi e solamente il 7% che non ha fiducia nell’informazione dell’agenzia di stampa. 5. Tra le fonti d’informazione tradizionali, con corrispondente versione cartacea, il quotidiano che gode della minor fiducia è Libero. È invece Fanpage la testata digitale con il minor livello di fiducia.

  • la macchina del ghiaccio

    Ricordate le grida d’allarme sui rischi dell’Intelligenza Artificiale? La più autorevole, e diciamolo anche la più teatrale, venne da parte di Geoffrey Hinton, il settantacinquenne pioniere del settore. Dopo aver dato le dimissioni da Google e fatto pubblica ammenda per i crimini commessi (sic), ha lanciato la sua profezia: attenzione, il genere umano è in pericolo di “estinzione”. Per fortuna, nostra e dell’umanità nel suo complesso, non tutti i ricercatori sono di questo avviso. Una voce fuori dal coro è quella di Silvia Ferrari. Tra i più autorevoli scienziati che in America lavorano sull’Intelligenza Artificiale, la modenese Silvia Ferrari è docente di Ingegneria meccanica e aerospaziale alla Cornell University e direttrice del laboratorio per sistemi intelligenti. A suo avviso il timore che una macchina (un super computer) possa cambiare comportamento e danneggiare volutamente e coscientemente un essere umano non ha molto senso. La coscienza, avverte la Ferrari, non è un algoritmo e non si riesce a riprodurla. Concordiamo pienamente: la coscienza è un nostro attributo, non riguarda nessuna macchina. La malvagità è una specialità prettamente umana sin da quando abbiamo conquistato la stazione eretta. Nel frattempo, nessun martello si è scagliato volontariamente sulle nostre dita, così come nessun aereo si è autonomamente scagliato contro un grattacielo. Terminator e Matrix sono, per l’appunto, solo delle (belle) storie di paura. E quindi che si fa, chiedono all’unisono gli amici del “Bar Marylin Monroe”, preoccupati del fatto che il cambiamento climatico possa impattare - come dicono loro – sulla qualità dello Spritz? Se diamo una scorsa a un buon manuale di storia economica quello che salta all’occhio è che la crescita della produttività (e quindi della ricchezza) è sempre dipesa dall’evoluzione tecnologica. Dalla biga dei Romani al mulino a vapore, dal motore a scoppio sino al sogno dell’energia nucleare pulita, più tecnologia ha sempre significato più benessere, meno fatica, meno lavori stupidi, ripetitivi, avvilenti. Una legge semplice e tutto sommato banale che ostinatamente ci rifiutiamo di imparare. Il segreto dell’Intelligenza Artificiale - il nuovo petrolio - sta tutto qui: chi ne avrà di più governerà i destini del mondo. L’innovazione si persegue, si programma, si gestisce. Noi, nel paese più bello del mondo, il più delle volte la subiamo. Salvo poi lamentarci che la macchina del ghiaccio, fondamentale per lo Spritz, non lavori più bene come un tempo.

  • al lupo, al lupo!

    Pare che gli umani sentano, più o meno costantemente, l’irrefrenabile bisogno di sentirsi minacciati da catastrofi terrificanti quanto ineludibili. Dalla fine del mondo prevista per l’anno Mille sino al famoso baco informatico all’alba del Duemila, è tutto un fiorire di disgrazie, sfighe epocali e devastazioni che al confronto le Sette Piaghe d’Egitto sono come la vescica che azzoppò la zia Peppina nel corso della tragica scampagnata di Pasquetta del ’66. (Per la cronaca, la zia Peppina ce lo ricorda ogni volta che passiamo a trovarla). Il dramma di vaste proporzioni prossimo venturo è la presa di possesso delle nostre vite che l’Intelligenza Artificiale – moderna sanculotta – starebbe pianificando con feroce quanto silenziosa astuzia silicea. Sarà vero, sarà falso? Come distinguere il vero dal verosimile e il falso d’autore dalla cattiva imitazione? Nel dubbio e nel frattempo, in attesa che le macchine conquistino il Palazzo d’Inverno e pure quello d’estate, è forse d’uopo chiedersi quando siamo diventati umani. Quando abbiamo acceso il primo fuoco, inventata la prima ruota, prodotto il primo arco e le prime frecce? Sbagliato. Interrogata in proposito, la grande antropologa Margaret Mead rispose che il primo segno di umanità si manifestò in un atto culturale. Vasi di argilla, pietre levigate, amigdale taglienti? Neppure per idea. Secondo la grande studiosa il primo segno di umanità ci viene dal ritrovamento di un osso. Un femore umano con evidenti segni di una frattura curata. In natura, se sei una gazzella, un leone, un elefante o un ominide e ti rompi una gamba, sei fritto come un’anguilla. Non puoi fuggire dai predatori. Non puoi recarsi al fiume per bere. Non puoi procacciarti il cibo. Sei “carne per le bestie”. Punto. Nessun animale sopravvive abbastanza a lungo affinché una gamba rotta possa guarire. Un femore rotto guarito è la prova: qualcuno ha sorvegliato il ferito, lo ha difeso, curato e nutrito. Lo ha “messo in sicurezza” come si dice ora, e ha atteso pazientemente che guarisse. E’ allora, assicura Margareth Mead, che è iniziata quella cosa che chiamiamo civiltà. La civiltà è una cosa recente e terribilmente fragile. Chissà se ai tempi dei primi femori aggiustati anche ai nostri antenati piaceva spaventarsi a vicenda. E chissà che diavolo s’inventavano per darsi quel po’ di allegra eccitazione che produce lo scampato pericolo. Doveva essere una vita davvero noiosissima la loro, senza ChatGPT e nemmeno un social su cui spararsi un selfie.

  • nel magico mondo di Melandia

    La notizia gira da un paio di settimane. Riguarda Apple e i soliti bene informati lo preconizzavano da anni. Vedrete, dicevano, prima o poi quelli della mela mozzicata faranno una banca. Ebbene, l’hanno fatta. Si chiama “Apple Savings”, è il nuovo conto di risparmio di Apple e Goldman Sachs. Negli Stati Uniti offre rendimenti del 4,15% all’anno. E’ poco, è tanto? Diciamo circa 10 volte in più rispetto agli interessi medi che pagano le altre banche. Che non fosse una novità, un fulmine a ciel sereno come si suol dire, gli analisti l’avevano intuito già un anno fa quando Apple aveva presentato “Apple Pay Later”, servizio di Buy Now Pay Later di rateizzazione dei pagamenti. Ma “Apple Savings” è molto più che un pur sofisticato sistema compra oggi e paga domani: di fatto è quello che fanno le banche da che mondo e mondo. Cos’è una banca? O meglio: cosa offrono le banche? Domanda alla quale anche la zia Peppina saprebbe dare risposta. Al di là dei marmi e dei pennacchi, le banche sono quelle cose che vendono due merci: denaro e fiducia. Loro ti prestano soldi fidandosi della tua solvibilità; tu ti fidi della loro affidandogli i tuoi risparmi. Punto. Se questo è vero – altra domanda facile facile - qual è l’azienda che più di ogni altra dispone dei due beni bancari per eccellenza, il denaro e la fiducia? Denaro: Apple dispone di un tesoro di oltre di 50 miliardi di dollari. Denaro liquido che neanche il Dash. Non stiamo parlando di fatturato, ma capitale proprio spendibile in minuti cinque. Una cifra superiore (e di gran lunga) al PIL di parecchi Paesi sovrani. Fiducia: Secondo il “Best Global Brand” il valore del brand Apple (udite, udite!) è il più grande al mondo e per di più in continua crescita. Futuro Chi scrive queste noterelle, chi le illustra e le pubblica, è Mac dipendente praticamente dalla nascita (informatica). Vive immerso in un ecosistema felice al punto da fargli pensare che il Giardino dell’Eden non fosse poi così diverso dal suo ordinato desktop. Non è dunque irragionevole supporre che in un futuro molto prossimo la casa di Cupertino oltre a un conto risparmio offra anche mutui e finanziamenti. Del resto- se c’è denaro e fiducia - what else?

  • un tram chiamato Carla

    Possiamo usare una parola desueta, sì? Eccola: agnizione. Descrive quello che ci è capitato ieri in pieno centro a Milano. L'agnizione (dal latino agnitio = riconoscimento) “è un topos delle opere narrative o drammatiche; consiste nell'improvviso e inaspettato riconoscimento dell'identità di un personaggio, che determina una svolta decisiva nella vicenda”. Tipo Superman che si libera degli abiti di Clark Kent e si mostra in tutta la sua turgidezza muscolare? Esatto, proprio così. Ma anche lo Stig di Top Gear che si toglie il casco sarebbe un’agnizione bella e buona. Insomma, l’avete capito, l’agnizione è una sorpresa e come tutte le sorprese può essere negativa o positiva. Noi stavamo giustappunto aspettando il tram, quando dall’angolo della via sbuca una vettura completamente bianca. Bianca come un cigno per intenderci. Sulle prime, resi cinici dalla modernità abbiamo pensato alla solita trovata della “vestizione brandizzata” (beccatevi il neologismo). Il tram bianco-bianco apparteneva alla gloriosa serie 1500, nota anche come "vetture a carrelli", serie di carrozze tranviarie in uso a Milano e a San Francisco. Finalmente, quando fermandosi si è accostata, abbiamo compreso che era il tram dedicato a Carla Fracci. Bianca, con la scritta in rosso sulla fiancata “Milano per Carla Fracci”, è la vettura della linea 1 che guidava Luigi, il padre della grande ballerina. Si tratta – agnizione, agnizione! – proprio dello stesso mezzo con il quale negli anni Quaranta del secolo scorso accompagnava la figlia alla prima audizione per entrare nell’Accademia della Scala. Milano deve molto all’Expo. Iniziativa, è doveroso dirlo, di intelligenza bi-partisan. Da allora la città non l’ha fermata neppure l’orrida pandemia: tutto un susseguirsi di “week” all’insegna della moda, del cibo, del vino, del design, nel corso delle quali la città è invasa da decine di migliaia di visitatori. Interessati. Stupiti. Ammirati. Ecco, è nostra convinzione di piccoli artigiani della comunicazione quali siamo che dare valore al valore sia la cosa più importante da fare, sempre. Che si tratti di un formaggino, di una rondella stampata in 3D o di una delle più grandi étoile del secolo scorso. Dedicarle il tram che, alla guida del suo papà, la conduceva nel luogo dove sarebbe divenuta grande è un (piccolo) colpo di genio. Ps: Il tram è bellissimo.

  • sole, mare, spaghetti e mandolini

    Giurin giuretta, avevamo deciso che ne saremmo stati lontani come la peste. Non ne avremmo parlato neppure sotto tortura. Argomento masticato peggio della ciabatta della zia Pina finita nella cuccia del cane. Poi, al solito, gli amici all’ora dello spritz si sono fatti via via più insistenti: “ma come, voi che vi occupate di comunicazione, neanche una parola sulla cistona scarmigliata?”. E’ lì, sull’orrore di quel “vi occupate” come se fossimo un posto a sedere sui regionali di Trenord, abbiamo ceduto. Sì, anche questo postarello parlerà di “Italia. Open to meraviglia”. Mettetevi comodi e allacciate le cinture. Perché stiamo per dirvi quello che (quasi) nessuno vi ha detto mai. I numeri del turismo Partiamo come sempre dal contesto. E quindi dai numeri. Quanti sono i turisti che largo circa ogni anno scelgono di venire nel paese a forma di bizzarro stivaletto? Da dove provengono questi benedetti pellegrini della vacanza? Quanto “cuba”, come è di moda dire oggi, il turismo? E infine, qual è la località fra tutte preferita? Ecco le risposte: 1. Secondo l’Istat nel 2019 l’Italia fu il quinto paese più visitato al mondo: 65 milioni di arrivi stranieri; il secondo per numero di pernottamenti (221) dopo la Spagna (299) davanti a Regno Unito (192) e Francia (137). 2. Il maggior numero di turisti viene dalla Germania 3. Il settore turistico genera più del 5% del PIL nazionale (il 13% considerando anche il PIL generato indirettamente) e rappresenta oltre il 6% degli occupati (Fonte: Banca d'Italia 2018) 4. La città di gran lunga preferita è Roma Conta che ti passa Nello suo studio a Princeton Einstein aveva affisso un cartello scritto a mano: “Non tutto ciò che può essere contato conta, e non tutto ciò che conta può essere contato”. Pensiero mica male, vero? Quindi, prima di sbrodolare come hanno fatto in millantamila sulla creatività della campagna, ragioniamo su cosa conta e si può contare: i soldi. Scopriremo che la patacca – il vero e proprio peccato originale di “Italia. Open to meraviglia” non sono le puttanate assortite, gli errori di stampa, le attribuzioni grossolane, i video girati in località diverse da quelle dichiarate, la storia del dominio e le cento e mille altre sciocchezzuole commesse in corso d’opera. No, il vero crimine perpetrato ai danni dell’Arte della Buona Comunicazione riguarda il budget. Dimmi tu dove vai con 9 milioni di euro se devi comunicare urbi et orbi che l’Italia (tutta, mica solo Venegono di Sopra) è bella bella bella, come direbbe Uber-Aldo a Gervasoni-Giovanni e Rezzonico-Giacomo. In caso di dubbio provate a fare 9 milioni di euro diviso 65 milioni di turisti e vedrete quanta “comunicazione a capa” viene fuori. Ergo, se non hai i soldi per il tre stelle Michelin, ordina una pizza a Glovo e stai bravino sul divano. Dove vai se il posizionamento non ce l’hai? Due parole due sul posizionamento (o positioning, che suona pure meglio). Detto alle spicce, è la tecnica per occupare qualche neurone del consumatore in modo, se possibile, unico ed esclusivo. Il risultato? Non solo le vendite, ma anche la memorabilità e la reputazione. Queste ultime si misurano con semplici indagini ad hoc (basta anche una telefonica) mentre per la prima parlano gli scontrini di cassa. “Posizionare” un brand, un prodotto o un’azienda è un processo lungo e complesso che richiede brillantezza strategica, creatività scoppiettante e adeguate risorse economiche. Soprattutto assoluta coerenza tra qualità percepibile del prodotto e messaggio al consumatore. Chi come noi ha cento anni ricorda bene che ciofeca fossero le auto Audi, roba neanche un commesso viaggiatore meningitico avrebbe acquistato. Il Gruppo Volkswagen di cui Audi fa parte ha lavorato per anni con grande intelligenza agendo su tutte le leve di marketing, in particolare sulla comunicazione e sul design, per posizionare il brand in un’area concettuale allora ancora scoperta e inesplorata che mi piace chiamare “tecnologia elegante”. A colpi di vittorie nei rally e di advertising martellante, Audi da simbolo di sfigatezza è diventata sinonimo di quattro ruote motrici performanti e riccanza chic. Gianni Clerici direbbe “gioco, partita, incontro”. Come si “posiziona” l’Italia? Posizionare, ovvero “vendere” in tutto il mondo un’idea forte di Paese, è un mestiere che fa tremare i polsi ai migliori pubblicitari del bigoncio. Gli svizzeri hanno trasformato in modo incantevole i loro difetti (puntualità ossessiva e burocratica) in pregi apprezzabili da qualunque turista assennato grazie agli spot che hanno per testimone il divino Federer. Li trovate qui. Gli australiani si sono inventati un cartone animato con due personaggetti (un canguro e un altro bestio non identificato) che saltellando raccontano il loro paese. Una storia, quella australiana, deboluccia assai. Ma sostenuta da una paccata di dollari (australiani). Noi abbiamo scomodato Madonna Primavera. Diciamo che si poteva far di peggio. Ma diciamo anche che il personaggio (e il valore espresso dalla storia impersonificata dal personaggio) debbono essere funzionali al tempo medio che un turista medio appartenente ad un paese in cui la gente è sufficientemente ricca per andarsene a spasso all’estero, è esposto alla pubblicità. Quante probabilità ci sono che veda lo spot o qualsiasi altro format di comunicazione? Quante volte? E, realisticamente, quante probabilità ci sono che il nostro turista, potenziale cliente del prodotto Italia, esclami “Oh, perbacco! La Venere del Botticelli! Ma che meravigliosa idea per una meravigliosa vacanza nel più fantastico paese al mondo!”. Chissà, forse la prossima volta sarà meglio andare sul più collaudato sole, mare, spaghetti e mandolini?

  • sabato 6 maggio: "tutti in piedi sul divano"

    Dall’ultima sono trascorsi 70 anni. La televisione era ancora un oggetto misterioso e di colore neppure l’ombra. E’ dal lontano 1952, l’anno in cui Elisabetta fu incoronata regina di Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Ceylon e Pakistan, capo del Commonwealth e della Chiesa Anglicana, che gli appassionati del genere non si godono una replica. La cerimonia costò più 4 milioni di dollari e richiese 16 mesi di preparativi. Narrano le cronache che lungo le strade londinesi si erano assiepati circa tre milioni di spettatori: alcuni di loro avevano trascorso la notte per assicurarsi un posto in prima fila. Più di 200 microfoni furono collocati sul percorso e all'interno dell'abbazia; 750 giornalisti commentarono l’evento in 39 lingue diverse. Si stima che oltre 20 milioni di persone nel mondo seguirono la diretta televisiva. La notizia destinata a rallegrare gli amanti del genere “celebrities in action” è che – finalmente! – sabato 6 maggio si replica. Carlo e Camilla saranno incoronati Re e Regina nell’Abbazia di Westminster, il luogo dove sono state ospitate le cerimonie di incoronazione dei 39 monarchi britannici a partire da Guglielmo I nel 1066. A 73 anni Carlo diventerà il sovrano più anziano a essere incoronato nella storia del Regno Unito. Non ci sono dati ufficiali riguardo ai costi della cerimonia. Secondo il Times la spesa sarà superiore ai 100 milioni di sterline. Come avranno certamente intuito gli amici che seguono queste noterelle, siamo dell’avviso che la famiglia reale d’Inghilterra rappresenti uno dei più interessanti casi di marketing contemporaneo. Un “prodotto” straordinario già partire dal nome. All’inizio della Prima guerra mondiale Il Regno Unito scese in guerra contro la Germania; fu quindi inevitabile sostituire l’originale Sassonia-Coburgo-Gotha - di palese quanto imbarazzante origine teutonica - col più politicamente corretto Windsor, nome di un castello nei pressi di Londra. La Royal Family va dunque intesa alla stregua di un prodotto di marketing posizionale, la cui importanza non consiste tanto nella quota di Pil attribuibile, quanto all’attenzione che, anche grazie ad essa, il mondo continua rivolgere a quella che oggi a tutti gli effetti è solo una piccola isola nell’oceano Atlantico. Cosa resta del paese che ha dominato il mondo per quasi un secolo? Che ha creato uno dei più grandi imperi che la storia ricordi? È opinione diffusa che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea abbia aggravato la situazione dell’economia britannica, colpendo il Pil, gli investimenti e il commercio. Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale prevedono nel 2023 una contrazione del Pil pari allo 0,3%, la peggior performance tra le economie avanzate. Con la Brexit anche “fare il turista” è diventato più complicato e certamente meno gradevole. Morta l’amatissima Lilibet, questo era il soprannome della Regina Elisabetta, morte pure Mary Quant e Vivienne Westwood la regina dello stile punk, cosa resta di strano, affascinante, anticonformista, creativo e dannatamente brit? Mistero. Riuscirà Carlo III, insieme alla sua tanto a lungo sospirata sposa Camilla, a dare un nuovo consistente contributo di attrazione e fascino al Paese che ha dato i natali a Shakespeare ma anche, e soprattutto, a zero zero sette? Nell’attesa, sabato 6 maggio “tutti in piedi sul divano”, come strillava Guido Meda quando Valentino li metteva in riga tutti e la Britannia dominava sui mari.

  • transformer

    “Indovina, indovinello…chi fa l’uovo nel cestello?”. Alla domanda sanno dare risposta anche i bambini dell’asilo di via Quadrio: l’uovo lo fa il Salone. Conclusa domenica 23 aprile, la 61ª edizione è stata un successo. Un’ottima notizia certificata dai numeri (307.418 biglietti staccati +15% rispetto al 2022). Fonti ufficiali segnalano che, dopo gli anni di incertezza dovuti alla pandemia, la manifestazione è tornata a suscitare l’interesse degli operatori economici di tutto il mondo. Il 65% dei buyer proveniva da Cina, Germania, Francia, Stati Uniti, Spagna, Brasile e India. Un successo confermato da quello che potremo chiamare “skin test”, ovvero la sensazione di pelle che ha avuto chiunque abbia avuto la ventura (e in qualche caso pure la sventura) di aggirarsi per le vie di Milano nel corso della week design. Il Fuorisalone si è manifestato praticamente in ogni luogo della città, furoreggiando con eventi e festosità assortite che hanno causato non pochi problemi di mobilità. Tra le millantamila idee che anche quest’anno hanno trasformato Milano nella capitale mondiale del design, citiamo quella più vicina alla nostra sensibilità di innamorati della bella meccanica: il Fuorisalone Audi e la presentazione della prima concept car della gamma Sphere, definizione inedita di mobilità elettrica. L’auto è infatti disegnata a partire dagli interni, concepiti per trasformare il tempo trascorso a bordo. Il tema portante della concept car è la sostenibilità: riciclare, riutilizzare e in alcuni casi ridurre, sono le parole chiave del progetto. La meraviglia della SkySphere è la possibilità di passare da una versione lounge dl lusso ad auto sportiva. Il progetto prevede che la trasformazione da una modalità all’altra possa essere completata anche in movimento. Per capirci, nella versione a passo lungo, la SkySphere è un macchinone opulento tipo A8 L, in quella a passo corto è agile e scattante come una RS5. Elementi caratterizzanti sono le enormi porte posteriori azionate elettricamente, il tetto avvolgibile e lo schermo panoramico diviso asimmetricamente. Un’interpretazione spettacolare del tema che ci riguarda noi tutti: coniugare bellezza, funzionalità e piacere in modo sensato e responsabile.

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